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Inizialmente l’uomo primitivo, nomade e semi-nomade, seppelliva i propri morti all’interno di grotte e ripari appartati con un corredo funebre: offerte di cibo, oggetti a lui cari in vita, utensili, amuleti e armi che avrebbe potuto usare nella nuova esistenza. Lo scopo della sepoltura era quello di scongiurare il ritorno del morto, ritenuto vendicativo nei confronti dei vivi.
Con la nascita dei primi villaggi la visione della morte cominciò a cambiare e si sentì la necessità di dedicare ai defunti un luogo specifico, distinto dal centro abitato: nacquero così le prime necropoli.

Nell’antica Mesopotamia i defunti dovevano necessariamente essere sepolti nel sottosuolo dove si trovava l’oltretomba, per facilitarne loro l’accesso. In caso contrario lo spirito sarebbe rimasto intrappolato nel mondo dei vivi e, cercando invano l’accesso per l’aldilà, sarebbe tornato sotto forma di fantasma scatenando la sua disperazione.

Se tutti i popoli vivono pensando alla morte, il popolo egizio viveva in funzione della morte. Per questa stirpe morire era qualcosa di connesso in modo razionale e indissolubile alla vita. Il Faraone aveva un compito importantissimo perché non solo doveva amministrare e gestire il proprio popolo, come ogni Re, ma doveva anche salvarlo dalla notte eterna: una volta morto veniva accompagnato dal Dio del Sole (in tutte le società il sole è simbolo di rinascita) in un viaggio surreale in cui doveva attraversare dodici* porte, una per ogni ora della notte, e lottare senza paura contro demoni spaventosi per garantire il sorgere di una nuova alba.
Credendo fermamente nella vita ultraterrena gli antichi egizi avevano sviluppato una serie di riti complessi, come la mummificazione, per consentire al corpo di mantenersi integro, condizione indispensabile per l’immortalità dell’anima. Mentre i faraoni venivano sepolti nelle piramidi e i ministri o dignitari di corte nelle mastaba (tombe formate da un solo gradone aventi la forma del tronco di una piramide), la gente del popolo veniva sepolta in tombe ricavate nella sabbia.

Nell’antica Grecia vi erano due sistemi di sepoltura: la cremazione e l’inumazione. In entrambi i casi il cadavere doveva essere coperto con la terra per non offendere gli dei celesti con la vista dei resti dei corpi e per non mancare di rispetto ai morti stessi. Non seppellire un defunto voleva dire impedirgli di trovare la pace infliggendogli un castigo peggiore della morte stessa.
Il rituale funerario includeva diversi passaggi: il corpo veniva lavato, profumato con unguenti, vestito e coperto con ghirlande e in bocca veniva posizionata una moneta, necessaria allo spirito per pagare la traversata in barca del fiume dell’aldilà, lo Stige. Il corpo veniva poi trasferito su un letto in posizione quasi verticale, per essere visto da chi gli rendeva gli onori. Le Threnoi, donne di casa o mercenarie assunte appositamente, assistevano la salma con continue lamentazioni. Le vere e proprie esequie si tenevano dopo tre giorni dalla morte e terminavano con la cremazione o l’inumazione.
Il “rito omerico” prevedeva invece che il defunto, prima di essere cremato, ricevesse come offerta propiziatoria alcuni capelli che ogni parente o amico si strappava dal capo. A rogo estinto, le ceneri venivano innaffiate con vino, poste insieme alle ossa in un'urna e quindi sepolte. Dopo le esequie, i familiari si riunivano per una cena funebre. I defunti venivano ricordati negli anniversari della loro nascita, della loro morte e nel giorno dedicato a tutti i morti.

Per gli Etruschi i defunti continuavano la vita dopo la morte nelle tombe che venivano attrezzate con tutto il necessario, come una replica delle loro abitazioni. Di qui la nascita delle Necropoli etrusche, vere e proprie cittadine tombali.
Dal V secolo a.C. l'influenza della civiltà greca determinò una concezione più pessimistica della vita e dell’aldilà: consapevoli del declino della loro civiltà, gli Etruschi immaginarono l’aldilà come un mondo sotterraneo ove trasmigravano le anime dei defunti, abitato da divinità infernali e da spiriti di antichi eroi. Per raggiungerlo il defunto doveva viaggiare scortato da spiriti infernali. Le sofferenze delle anime dei morti potevano però essere alleviate dai parenti con riti, offerte e sacrifici.

Nell’antica Roma vi erano sette festività per commemorare i defunti. È qui che nascono le prime imprese funebri, i libitinarii, i cui servizi erano dedicati alle persone più ricche. Nella maggior parte dei casi i corpi venivano cremati su pire di legno. Le ceneri erano poi raccolte in urne funerarie e deposte in una nicchia ricavata in una tomba collettiva chiamata columbarium. Le esequie duravano più giorni, con il coinvolgimento anche di attori, mimi, danzatori, musici e lamentatrici professioniste. Nove giorni dopo la sepoltura si celebrava una festa, la coena novendialis, in occasione della quale si versava del vino sulla tomba o sulle ceneri.
Numerosissime le tipologie di tombe nell’antica Roma, dipendenti dal ceto sociale del soggetto e quindi dal risalto che si voleva dare alla persona: sarcofagi, templi, steli, piramidi, mausolei e altro, tutti rigorosamente fuori della cinta urbana, decorate con epigrafi commemorative e di esortazione ai vivi.

Le comunità cristiane dei primi secoli non cancellarono le tradizioni e i riti pagani attorno alla morte: adottarono ad esempio l’usanza del banchetto per la persona defunta con alcune modifiche riguardanti giorni e modalità. Credendo nella resurrezione dei corpi, abbandonarono però la pratica della cremazione e iniziarono a costruire catacombe per seppellire i loro morti. Tali strutture venivano scavate in rocce facilmente lavorabili e, spesso costruite su più livelli, potevano raggiungere profondità di trenta metri.

Nel Medioevo e più o meno fino all’occupazione di Roma e dello Stato Pontificio da parte delle truppe napoleoniche, i morti rientrarono nelle città: le chiese e tutti gli spazi ad esse consacrati divennero luogo di sepoltura. Essere sepolti in prossimità delle chiese voleva dire avere il privilegio di trovarsi nelle adiacenze delle tombe dei martiri e dei santi e condividere con loro il riposo eterno. Dal 1800 la crescita demografica delle nuove città, le nuove conoscenze mediche e l’esperienza maturata a seguito degli eventi funesti legati al dilagare delle epidemie nei secoli precedenti, portarono al divieto dell’usanza e alla creazione di appositi cimiteri fuori dalle mura cittadine. Il beneficio restò circoscritto a Prìncipi e facoltosi, spesso benefattori o finanziatori della costruzione delle chiese, proprietari di cappelle o altari laterali.
Nel 1783 a Palermo, nel Regno di Sicilia, fu edificato il primo cimitero pubblico moderno, il primo in Europa ad essere aperto a tutte le classi sociali: il Cimitero di Sant'Orsola.